C’era
una volta – o forse c’è ancora- un Re…
E già!!! Disse la bambina al
nonno che gli raccontava di un Re. Ma
allora a cosa serve pagare le tasse se nemmeno il Re, quando non era ancora Re,
le tasse le pagava?
-
Ma le tasse – anche nel
regno di Onassas - servono a far funzionare la scuola, a farti
curare, a pulirti le strade dalla spazzatura, ed a far si che tutti,
contribuendo per quel che sono capaci, possano dare un po’ dei loro guadagni e
delle loro ricchezze affinché anche i più poveri e deboli possano vivere un po’
meglio. Gli anziani avere servizi. I bambini avere asili…
Rispose il nonno all’ingenua
creatura.
Ma la
bambina ancora non riusciva a capacitarsi. Qualcosa non la convinceva … Le
scuole non funzionavano, i vecchi erano abbandonati, le strade piene di buche e
i lucernai sparivano da alcune strade per comparire in altre dove vivevano i
cortigiani e si stava costruendo un nuovo palazzo, e quella parte di popolo si
sentiva arricchito da tanta magnanimità che, in realtà, era solo un gioco di prestigio…
Re Piffero suonava sempre la stessa sinfonia. Lui
ripeteva che non aveva soldi per dare tutto questo e che il popolo doveva
arrangiarsi da solo. Le casse del regno erano vuote. Zero piffer per i servizi qualcosa
solo per servitù e banchetti.
Piffero, quando ancora non era Re e faceva l’apprendista
curandero in un paese lontano, si prestava, dietro compenso, a curare i
creduloni, quelli che di solito apprezzano i pregi e le capacità per sentito
dire, credendo a tutto ciò che gli si racconta. Quelli a cui in qualche
occasione rinfacciava : era meglio se ti
avessi fatto morireee!!! Spesso, davanti alla porta di casa, vi era gente
che, preoccupata del proprio stato di salute, si lasciava irretire dall’aspetto
del fanfarone curandero.
Lui, faceva stendere il paziente per terra,
allargava le braccia, sputava qualche incomprensibile formula magica e
formulava la sua diagnosi… Sembrava quasi intimorire i poveri ammalati, i quali
– anche se non capivano nulla di ciò che diceva - erano giunti a credere che i
loro problemi sarebbero spariti non appena la malattia avesse saputo che a
curarla sarebbe stato il Piffero.
Il Piffero è il migliore, dicevano i ruffiani. Il
Piffero è capace, gli facevano eco gli ignoranti.
E così, tra il popolo, si attribuirono al Piffero
capacità a lui sconosciute che contribuirono a farne credere, immeritatamente,
un curandero capace.
Ovviamente, alla fine, ognuno si dimostrava grato di
tanta sapienza curandera. E chiedeva il conto.
Conto che Re Piffero era grato di presentare… “Faccia 60 mila piffer” si sentiva rispondere.
In contanti, e suonanti, per ogni consulto.
A quel tempo era d’obbligo, ogni qualvolta si
realizzava uno scambio, si comprava qualcosa, si andava da un curandero, farsi
rilasciare una bolla che dimostrava l’avvenuto scambio e sul quale si doveva
pagare un tributo in piffer .
I piffer servivano per far funzionare lo Stato,
pagare i maestri, dare servizi al popolo.
Così facendo, Re Piffero, prendeva i soldi dei
creduloni di nascosto e li negava al fisco. Pensava : tutti rubano e non pagano
le tasse.
Così facendo, quel Re, non contribuiva a far dare i
servizi a quel popolo cui lui spesso diceva : - è giusto pagare le tasse. I tributi servono a far andare il paese
avanti. Tutti devono dare il loro contributo - .
Già!!! Tutti!!! Disse la bambina al nonno.
-
Ma allora perché Re Piffero
nascondeva i soldi e non dava le ricevute? Aggiunse.
Il nonno si fece pensieroso di fronte alla domanda
dell’ingenua ragazzina. Non sapeva come rispondere, anche perché voleva farle
capire che un Re dovrebbe dare l’esempio. Essere un punto di riferimento
immacolato e trasparente. Garantire le leggi e la legalità.
Ma il Piffero non era proprio quel tipo di Re. Anzi
tutto il contrario.
Quel Re era un po’ delinquentello. Rubava allo Stato
ciò che avrebbe dovuto, negando – così - che potesse essere utilizzato per
aiutare i più deboli. E, i piffer, se li teneva per lui.
Non era di esempio. Sistemava le cortigiane nei
posti dove Avvelenavipere gli ordinava di farlo. Organizzava viaggi e feste a spese del popolo –
saltimbanco tra i saltimbanchi - e molti se ne vergognavano. Ogni occasione era
buona per mettergli sotto i piedi un palco e farlo cominciare a farneticare. I
cortigiani che accorrevano non sempre capivano ciò che volesse dire, ma
applaudivano lo stesso, perché sapevano che il Piffero apprezzava.
Alla fine, gli unici di cui si potesse fidare –
forse - erano gli intimi compagni di festini : il fido, ma inutile,
Appendiquadri e il ministro Sculetta.
Lui li amava e ne era ricambiato.
Allora, la ragazzina chiese al nonno come ci si
potesse liberare di un Re fanfarone, bugiardo, ipocrita e che rubava i tributi
dello Stato. Una soluzione doveva esserci.
-
Il popolo non può sempre
sopportare!!!
Esclamò.
Infatti, aggiunse il nonno. Quel Re cominciava ad
essere abbandonato al suo destino. Ad essere mandato dove era giusto che andasse a stare.
Ma, a cercare di farlo, erano coloro i quali avevano
contribuito a nominarlo. Tra cui lo stesso Avvelenavipere. Una compagnia poco
rassicurante, che stava cercando di accordarsi con qualche nemico per essere
più forte…
A quel punto lo sguardo della ragazzina si incupì… E
cominciò a preoccuparsi per un popolo miserabile, incapace di trovare dei
giusti governanti.
Il suo sguardo si perse guardando il cielo e si
addormentò con una speranza. Risvegliarsi in un Paese lontano nel quale anche il
Re pagava le tasse e non rubava i tributi. Dove non ci fossero Avvelenavipere, Sculetta, Appendiquadri,
né cortigiane volgari da sistemare, ma solo la possibilità di sperare in un
futuro migliore di quello che, questi,
gli stavano negando.
Ma, quella notte era appena all’inizio, stelle tra
le nuvole non se ne vedevano e dava l’impressione di essere ancora lunga… In
quel regno, forse, la luce del giorno non sarebbe mai arrivata.
Anche perché al popolo un Re che non pagava le tasse,
nascondeva i tributi allo Stato e raccontava bugie stava bene. In fondo era
solo uno dei tanti…
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