venerdì 21 giugno 2013

NEWS DAL REGNO DI ONASSAS.


De gustibus …
A qualcuno le storie del re Piffero non piacciono. Legittimo. Altri le trovano indifferenti. Legittimo bis. A molti altri,però, si.
Pare che siano oltre 196mila, e non solo, ad aver letto e cliccato, da qualche parte, il like.
A seguire le vicende umane (pardon, meglio sarebbe dire miserie) di re Piffero, anche attraverso i contatti alle pagine de “Le favole del re Piffero” (http://lefavoledelrepiffero.blogspot.it/), vi sono ospiti dagli angoli più impensati di: Sati Uniti, Canada, Federazione Russa, Germania, Svizzera, Inghilterra, Spagna ed altri… Ovviamente di più dall’Italia. Ed ancor di più da una precisa latitudine.
Certo, forse, tutti onassassini in trasferta. “Conquistadores” di nuovi orizzonti, curiosi, aperti mondo, che, però, non vogliono perdere i contatti con la loro terra di origine e le miserie (ed anche qualche miserabile) che approfitta del “suol natio” calpestandone la dignità.
Insomma sul regno del Piffero “non tramonta mai il sole”.
Diamo al Piffero ciò che al Piffero appartiene : un vero personaggio pubblico seguito, con commiserazione, al di qua, ed al di la, dell’oceano.
Più universale, e pubblico, di così!

domenica 16 giugno 2013

RE PIFFERO e : “…ti sono vicino con il pensiero…"



C’era una volta – o forse c’è ancora - quel Re…   
Quel re a cui, un giorno, si avvicinò un suddito. Uno di quelli che credeva ancora potesse essere utile e rispettoso delle promesse (ma anche minacce) spese casa per casa, focolare per focolare, prima di insediarsi sul trono.
Il malcapitato (che non apparteneva alla corte dei miracoli) si recò al palazzo, quello a cui, una volta, ci si rivolgeva per ricevere un aiuto o un consiglio. Attraversò l’ingresso fiducioso pensando che, sua maestà, non governava solo per i suoi interessi, ma anche per gli altri rassicurato dal fatto che, re Piffero, aveva oramai ritrovato la serenità smarrita a causa degli umori della piffera ed aveva anche ripreso a girare per matrimoni, prime comunioni, battesimi e funerali ove non faceva mai mancare i suoi (spesso non richiesti) antipatici, ipocriti, sciacalli e strumentali “sermoni”.
In quel palazzo, non molto tempo prima, si raccontava che si potevano trovare porte che si aprivano e persone che dovevano dare risposte ed aiutare chi si trovava in difficoltà.
Ora, invece, le trovò chiuse. Sbarrate. Era inutile bussare, quelle porte non sarebbero state aperte e le persone che prima dovevano ascoltare i sudditi erano state destinate, solo, al servizio di sua maestà e della sua corte dei miracoli.
Quella di Capatesa era sbarrata e i servitori, sempre chiusi dentro, occupati solo a seguire ciò che stava a cuore al Consolatio reale.  A quella di Sculetta nessuno osava bussare, tanto era inutile. Avvelenavipere si vedeva a palazzo sempre meno. Di lui si raccontava che stesse organizzando un gruppo di congiurati, stanco delle bizzarrie del Piffero. In realtà, a lui, stava a cuore solo far si che la sua attività usuraia proliferasse sempre di più e, perciò, lo si incontrava spesso in giro per locande a ricordare, con pacche sulle spalle, il peso debitorio e gli interessi che i suoi disgraziati avventori portavano sul groppone e, qualche volta, si mischiava anche in mezzo ai pettegoli che non avevano di meglio da fare se non discutere del “piffero” della Piffera.  
L’unica porta – volutamente socchiusa – cui ci si doveva rivolgere era quella di Piffero che, a seconda del suo umore, decideva se farti accedere, oppure no. Non prima di aver fatto la necessaria anticamera al cospetto di Appendiquadri. L’inutile reggicoda che albergava sempre sull’uscio. Ubriaco del fiume di parole, e chiacchiere vuote di senso compiuto, che solitamente scorreggiava nelle sue apparizioni pubbliche e, che, i sudditi erano costretti a sopportare, il pover’uomo chiese al re Piffero un aiuto ed un consiglio.
Il magnanimo, dopo avergli concesso il privilegio di ascoltare la sua richiesta, appoggiò su un enorme tavolo la cornucopia – simbolo del suo regno – sollevò per un attimo la testa, guardò il suo ospite negli occhi, allungò il braccio e, dopo aver roteato le braccia, come era solito fare quando voleva apparire come chi ha qualcosa da dire, si blocco e, con voce gracchiante, rispose solennemente : “… ti sono vicino con il pensiero”.
Quel giorno, lo sfortunato avventore, incredulo di “tanto affetto”, tornò a casa, riunì moglie e figli intorno ad una tavola, che continuava ad essere vuota, e chiese di metter su la pentola per preparare la minestra e sfamare la famiglia.
Alla domanda della moglie – che lo guardava diffidente -  su che cosa avessero cucinato rispose : “ oggi ci sazieremo con i ti sono vicino con il pensiero”.