venerdì 30 agosto 2013

L’epopea del perfido Avvelenavipere… Il filibustiere ispiratore del Re.


C’era una volta – o forse c’è ancora - un re …
E, con lui, c’era il consiglier Avvelenavipere quello che poteva parlare senza chiedere il permesso, che non appariva quasi mai, ed aveva sempre l’ultima parola sulle questioni che riguardavano il regno …
Ognuno, affermava, “in casa propria fa ciò che vuole”, e dava sempre ragione alla moglie quando ricordava : “ noi, non abbiamo pietà di nessunooo!!!”.
Lui, si sentiva sempre padrone… Anche in casa d’altri, tanto da contribuire a fare, della casa di tutti, il letamaio del regno.
Re Piffero non avrebbe mai potuto aspirare al trono senza l’aiuto del pusillanime consigliere che, in cambio, lo usava come le massaie i coperchi degli orinali.
Era quello a cui gli spifferi, prima di uscire dal palazzo, chiedevano il permesso. E, i raggi di sole, non entravano mai dalle finestre aperte senza che, Avvelenavipere, consentisse loro di illuminare le stanze e l’attività che in esse si svolgeva.
Accompagnato sempre dal “fido” consiglier Er Nasca, e dal “reggicoda” Sor Ntoppa, si presentava come persona docile e buona. Disponibile. Caritatevole. Uomo di pace e benefattore.
Era facoltoso, ma tanti erano i dubbi sulla sua fortuna.
Aveva la possibilità di aprire il salvadanaio e dare denaro a chi ne avesse avuto bisogno. Era anche disponibile all’elemosina. Donava ai bisognosi solo ciò che, in realtà, poteva essere dato in pasto alle bestie. E, i questuanti, in anni di vacche magre, non mancavano mai.
Persino quando organizzava qualche festa badava sempre a non trascurare la servitù. Gli ospiti illustri da una parte e, dall’altra, vi era, ogni volta, qualche bettola per i meno fortunati ove, Avvelenavipere, li riceveva.
Se si impegnava in qualcosa riusciva sempre ad accrescere la sua influenza personale ed a trarne beneficio. Per la sua famiglia e qualche servitore.
Era riuscito persino a “speculare sull’aria”, che pur avrebbe dovuto essere gratuita, traendone profitto. Riuscì a far credere che solo quella contenuta nei suoi otri fosse pura e salutare.
A qualcuno, che si era visto costretto a chiedere il suo aiuto - si raccontava –, “facilitò” l’ascensione nell’aldilà. Salvo, poi, far finta di essere turbato per quel che era accaduto allo sventurato. 
A lui interessava poco occuparsi del prossimo. La beneficenza era solo lo specchio per le allodole utilizzato per coprire i traffici che gli stavano più a cuore, come il commercio che aveva creato attorno al “Monte dei Pegni” che aveva fatto suo …
Un giorno successe che una delle poche anziane del borgo, che ancora si fidavano, si recasse a ritirare ciò che le rimaneva per tirare a campare ma, con sua grande sorpresa, scoprì che, Avvelenavipere, né aveva fatto fare un uso diverso da quello sperato e, alla malcapitata, non restò che rammaricarsi della fiducia tradita. Non recuperò mai  i suoi pochi beni.
Per riuscire a gestire i suoi affari non esitava ad utilizzare i poveri servitori che erano costretti a lavorare con lui. Su di loro faceva ricadere la responsabilità di tutto ciò che chiedeva venisse fatto. Lui se ne lavava le mani, e non esitava a mandarli via quando non gli servivano più.
A loro chiedeva di pretendere più del dovuto, affinché potesse avere sempre liquidità, da cui attingere, per gratificare la sua corte dei miracoli.
Anche a quel tempo la “riba”, e poi usura, era considerata un peccato e i giudici la punivano. Ma non nel caso di Avvelenavipere. Qualche giudice faceva finta di non vedere e, se qualcuno urlava, persino, di non sentire. Lui, sapeva come imbonire qualche disgraziato che pretendeva di chiamarlo a rispondere delle sue prepotenze. Quando i commercianti, o i debitori, non erano in grado di restituire ciò che gli era stato concesso pretendeva, in cambio, il banco della frutta, la stalla, il mulino e quant’altro, che poi donava ai familiari.
Nel mercato di Onassas molti banchi, il mugnaio, le locande e tanti mercanti, per sopravvivere, erano costretti a chiedere denaro al suo Monte dei Pegni. Lui, prima appariva munifico concedendolo, poi, ne pretendeva la restituzione a caro prezzo. Altrimenti, gli sgherri, portavano via la casa, il carro, gli asini o i buoi utilizzati per arare.
Quando incrociava i suoi debitori per strada, o nelle locande, li salutava, sorridendo beffardamente sotto le tonde lenti poggiate sul naso, ricordando loro “il peso che portavano sul groppone” e scandendo il tempo che mancava per la restituzione.
Intere famiglie dovevano sopportare i suoi “umori”.
Una volta, invaghitosi di una giovin figliola della quale aveva il triplo degli anni, aveva persino litigato con un vicino pretendendo di essere lui il privilegiato … Pensava che tutto gli fosse dovuto!
Rispetto, stima, ubbidienza e, se qualcuno osava ostacolarlo, lui minacciava di farlo interdire dall’autorità che, a quel tempo, era al servizio dei potenti. Infatti, sedevano allo stesso tavolo. Partecipavano alle stesse feste. Si servivano degli stessi lupanari e dividevano le stesse donne che gli azzeccagarbugli, spesso, procuravano loro. 
Quando Re Piffero si insediò sul trono - Avvelenavipere - affrontò il regnante sconfitto e, con soddisfazione, gli ricordò gli anni che aveva impiegato per mandarlo via, sghignazzando, aggiunse : “alla fine ci sono riuscito”…
Quello, però, fu il principio della fine. Chi non lo conosceva ebbe modo di apprezzare tutto il livore, e l’odio, di cui era capace nei confronti, soprattutto, dei più deboli e di chi non si piegava mettendosi al suo servizio.
La sua incapacità a lavorare nell’interesse del popolo si manifestò in tutta la sua rozza volgarità ma, intanto, molti occhi cominciarono ad aprirsi, orecchie ad ascoltare e gambe stanche e disilluse ripresero a camminare…