C’era una volta – o forse c’è ancora- un Re…
Un Re che si chiamava Piffero e che aveva trovato
il suo trono in un castello incantato: Onassas. Un castello di un paese che si
trovava sul cucuzzolo di una collina e
dove qualcuno pensava si fosse fermata la storia.
Lui, in verità, un trono ce l’aveva già, ma siccome
il popolo – che è sovrano- non lo voleva, gli aveva preferito un altro.
Il trono sul quale era riuscito a sedersi di nuovo,
però, era un po’ piccolo, non gli “calzava” a misura e lui voleva cercarne un
altro un po’ più comodo. E che gli assicurasse anche un po’ di futuro. Più
degno per le sue aspirazioni. Che erano tante, ed anche grandi. Un Re
megalomane ed anche un po’ fanfarone.
Un Re ciarliero a cui piaceva parlare, sempre, dappertutto e spesso a vanvera.
Re Piffero, come tutti i Re che si rispettino,
aveva una corte. Una corte a cui regalava lavoro e ricchezza. Viaggi in giro
per il mondo e promesse di successi.
Agli
altri minacce e vendette. Perché, Re Piffero, non sopportava di essere
criticato e deriso per le sue debolezze ed incapacità. Pensava di essere il più
bravo re del mondo e guai a contraddirlo. La sua vendetta, ispirata dal suo
consigliere, non si faceva attendere.
Uno dei cortigiani, ogni giorno, nel palazzo
appendeva un nuovo quadro con su scritto : “abbiamo il più bravo Re del
mondo”.
Sapeva che questo gli faceva piacere e tutta la
corte ormai non si spaventava più quando sentiva i colpi di martello sui muri.
Era il signor “Appendiquadri” che si guadagnava la pagnotta assolvendo al
compito per il quale era stato chiamato dal Re.
Quando Re Piffero conquistò il trono tutti i
cortigiani lo portarono a spalla, in processione, fin davanti al palazzo nel
quale aveva ordito con il suo consigliere - il signor Avvelenavipere, l’unico
ad avere il potere di parlare senza chiedere il permesso - la conquista del castello.
Bambini festanti. Giovani ancelle danzanti, canti
di orchestrine e da mangiare per tutti con gli immancabili fuochi di artificio.
In realtà, tutti, avevano sperato di poter ottenere
il rispetto delle promesse fatte da Re Piffero.
Alcuni dei cortigiani, per guadagnare meriti e difendere il nuovo Re, si erano spinti
persino ad insultare e minacciare chi osava sollevare dubbi sulle capacità di
governo di Re Piffero, invocandone il rogo. Che in realtà era stato abolito già da qualche
anno.
Nel castello la gente non se la passava bene. Re
Piffero aveva aumentato le tasse per poter pagare le feste offerte alla sua
corte. Aveva poco lavoro. I più giovani che non trovavano protettori erano
costretti ad andare via, o ad accettare i soprusi imposti dai vassalli, mentre
quelli più furbi potevano mangiare alla stessa tavola organizzata dal
consigliere di Re Piffero, al quale, quasi tutti, provavano a chiedere qualcosa.
E, non mancavano di prendere in giro quelli che, per mancanza di coraggio o forte
senso di dignità, preferivano il digiuno all’elemosina.
Avvelenavipere era quello che, in realtà, non
appariva mai, ma decideva tutte le questioni che riguardavano il castello.
Chi doveva lavorare. Chi doveva aprire il banco del
pesce o della frutta nella piazza del mercato, il medico degno di curare gli
ammalati e il sanatorio presso cui andare a curarsi o la scuola nella quale
insegnare le cose che lui riteneva utili e, anche chi poteva andare in
processione ed accompagnare la statua del Santo patrono ma, soprattutto, chi
poteva scrivere nell’unico foglio degli annunci locali… Purché annunciasse solo
quello che gli faceva piacere. Ognuno, diceva, in casa propria fa ciò che
vuole. Solo che lui, come casa propria, considerava anche quella degli altri.
Mai una sola decisione era stata presa senza il suo
beneplacito.
Persino gli spifferi dal palazzo, prima di uscire,
chiedevano il permesso. Ed i raggi di sole non entravano mai dalle finestre
aperte senza che Avvelenavipere consentisse loro di illuminare le stanze e
l’attività che in essa si svolgeva. E, quando entravano vi rimanevano,
timidamente, solo pochi minuti. Per poi scappare.
Il consigliere, in realtà, sembrava una persona
molto docile e buona. Spesso anche disponibile. Caritatevole. Ma era solo per
carpire la buona fede, fiducia e illusione
delle sue vittime.
Il consigliere era uomo ricco e facoltoso. L’unico
ad avere il potere di aprire il salvadanaio e dare denaro a chi ne avesse
bisogno. E, i questuanti non mancavano mai
sull’uscio di casa. Nella sua
“fabbrica di biscotti” (in realtà la fabbrica non era sua ma lui la considerava
tale) lavoravano solo persone fidate che gratificava con la sua elemosina. E,
se dopo qualche anno di fedeltà, gli dimostravano di meritare la sua fiducia,
lui, poteva anche decidere di dare qualche meritato soldo per il lavoro fatto. E di promuovere il malcapitato – si - da
semplice servo a fedele servitore. Da
buon benefattore qual era.
Si racconta che, una volta, mentre se ne andava a
passeggio tra i boschi della valle delle orchidee una vipera ebbe la sfortuna
di incrociarlo. Avvelenavipere, inavvertitamente, gli pestò la coda e, la serpe,
tentando di difendersi, gli diede un
morso.
Non l’avesse mai fatto!
Morì stecchita. Da allora, tra le serpi del paese,
si è sparsa la voce e quando d’estate il consigliere se ne va a passeggio tra i
boschi loro scappano lontano nel paese vicino.
Una delle cortigiane, piccola, tarchiata, poco
curata, con i segni dell’età che ormai ne facevano una donna la cui gioventù
non si intravvedeva più nemmeno scrutando l’orizzonte e anche un po’ cattiva
per le delusioni ricevute dalla vita (le amiche, in privato, la chiamavano
“crudelia”), ed il cui compagno, che spesso si accompagnava al consigliere, un
giorno decise di partecipare ad un concorso in un paese vicino.
Lei, da sempre, guardandosi allo specchio aveva
creduto di essere una “principessina” a cui tutti dovevano considerazione e
rispetto.
Dovevano ascoltarla e mai contraddirla. Anche il
marito che, in fondo, le reggeva il moccolo senza mai pronunciar parola e senza
prima aver chiesto il permesso. Anche quando si riunivano nel circolo delle
amiche del Re, dove si giocava a “rubamazzetto”, ma a decidere le regole poteva
essere solo lei.
Al concorso, le partecipanti, oltre ad essere
belle, dovevano dimostrare di saper
anche cucinare.
Si sarebbe scelta la cortigiana cui affidare la
cucina del palazzo. E, non saper aggiungere il sale alla minestra o mischiare
gli ingredienti, poteva essere colpa grave.
“Crudelia”, che ormai non aveva più grandi
possibilità per far apprezzare le sue grazie e le sue capacità domestiche,
decise di provare ad essere la prima e farsi scegliere.
Lei, che conosceva come entrare nelle grazie dei
Re, avendolo già fatto con quelli che avevano preceduto Re Piffero, si rivolse
al consigliere e protettore, Avvelenavipere, ed allo stesso Re : a loro chiese
di intercedere sul vicino affinché potesse essere la prescelta. La prima.
L’unica. Quella che faceva brillare la luce negli occhi del Re.
Ma in realtà, la piccola “Crudelia”, pur se da anni provava ad
organizzare le feste del paese, le sfilate delle cortigiane più giovani, i
banchetti di ringraziamento al popolo in corteo e quant’altro potesse essere
aggraziato dal tocco femminile o di una mano delicata, ogni volta che lo faceva
combinava guai.
I pasti non erano di qualità, le feste andavano
deserte e una volta, si racconta,
persino una mosca, caduta nel piatto del Re Piffero, scappò via
disgustata dopo aver provato l’alimento proposto a sua maestà dalla cortigiana.
Eppure, assicurava, era stato cucinato con le sue
stesse mani.
Si sussurra che persino Re Piffero cominciasse a
nutrire dubbi sulla buona fede della cortigiana, che nella vita aveva
dimostrato solo di saper chiedere. Anche
lui immaginò che, magari, farla diventare la prescelta potesse essere una
soluzione per allontanarla.
Lei voleva sempre essere quella che si faceva
notare. Che stava in prima fila, che sapeva, anche quando in realtà non sapeva,
di cosa stesse parlando.
Ed allora Re Piffero ed il suo protettore e
consigliere, decisero di assecondarla. Chiamare il Re del paese vicino e
chiedere, dopo aver elogiato le sue
presunte qualità, di farne la preferita. Far si che fosse lei quella che doveva
essere scelta come la più bella e capace di organizzare la cucina reale.
Re Vediamo ascoltò cosa avessero da dirgli Re
Piffero ed il consigliere. Si incuriosì, ed in nome dell’antica amicizia
promise che sarebbe intervenuto per tenere nella dovuta considerazione la
cortigiana segnalata.
Qualche giorno dopo nel castello di Re Vediamo
tutte quelle che si erano candidate si presentarono per dimostrare le loro
capacità e i loro pregi.
Re Vediamo ed una commissione di saggi guardò con
attenzione le candidate.
Si presentarono una ad una, le vide ballare,
raccontarono cosa avevano fatto e provarono a cucinare.
Alla fine, però, accompagnati da squilli di trombe
furono annunciati i nomi delle prescelte.
“Crudelia” la falsa, non fu la prescelta.
Non aveva convinto la commissione e Re Vediamo rimase deluso.
Eppure, avevano insistito. Gliene avevano parlato
molto bene Re Piffero e Avvelenavipere. Garantivano loro!
Ma, Re Vediamo, i pregi che Re Piffero ed il suo
protettore – Avvelenavipere - gli avevano illustrato non riuscì ad intravvederli
e fu costretto a rimandare indietro la “Crudelia” che, arrabbiata, e delusa, se
la prese con Re Piffero il quale richiamò l’amico Re Vediamo.
-Pensavo di avere un amicOOO! Gli disse.
- Pensavo che tutto quello che ti avevo raccontato potesse essere sufficiente a far di Crudelia la presceltaaa… A scapito delle altre. Ed invece, nienteee!
- Pensavo che tutto quello che ti avevo raccontato potesse essere sufficiente a far di Crudelia la presceltaaa… A scapito delle altre. Ed invece, nienteee!
-Me l’ hai rimandata indietro. E adesso, io sono
costretto a sopportarla! -Ricordati che ho perso un amicooo! Questo non me
lo dovevi fareee!
Le urla e le promesse di vendetta si udirono per
tutto il regno. Era proprio arrabbiato Re Piffero. E doveva proprio tenerci
tanto a “Crudelia”, se, rinunciò all’amico cui, da sempre, testimoniava stima
ed affetto. Persino l’estate, quella volta
tardò ad arrivare – forse intimorita dalla rabbia di Re Piffero - mentre la primavera riservava solo giorni di
pioggia, ed il sole non osò farsi vedere.
Re Vediamo proprio non si riusciva a capacitare. Farsene
una ragione gli risultava difficile. Eppure era stata solo scelta, a suo
parere, una persona più brava.
Ma per Re Piffero questo non andava bene.
Significava offendere la sua dignità.
Significava che lui contava poco o niente.
- Mai visto mai che un Re non poteva più decidere
che a ricoprire un posto sia un’incapace a favore di una un po’ più capace?
- Poteva mai funzionare il mondo così
organizzato?
- Si poteva non tener conto dei desideri del
consiglier Avvelenavipere? - Della “Crudelia” e del suo compagno?
- E dove sarebbe andato a finire il mondo se ci si
dovesse comportare sempre così dando il cattivo esempio e scegliendo quelli più
bravi a favore di quelli che lo sono meno?
No! Così non poteva andare. E’ un’offesa che va
vendicata e dichiarare, ufficialmente, inimicizia a Re Vediamo… Così impara!
E, fu così che un fido messaggero partì per
recapitare, direttamente, a Re Vediamo la volontà di Re Piffero e di
Avvelenavipere.
Da quel momento, Re Piffero non rivolse più la
parola a Re Vediamo ed Avvelenavipere dichiarò che avrebbe armato l’esercito di
fidi servitori e guardiani del palazzo per vendicarsi.
Eppure, Re Piffero, aveva conquistato il suo trono
promettendo giustizia e lavoro. Promettendo di premiare i meriti e di guardare
ai deboli ed agli ultimi.
Una gran parte del popolo aveva creduto alle sue
parole. Aveva atteso che le sue promesse diventassero realtà… Ed aveva anche ricevuto doni prima
dell’insediamento del sovrano. Anche se, in qualche caso, la moneta ricevuta
sottoforma di elemosina era falsa o fuoricorso.
Ma, Re Piffero, in verità, non aveva spiegato quali
erano le promesse che potevano diventare realtà.
Per lui l’importante era promettere, tanto qualcuno
ci avrebbe creduto e qualcun altro ne avrebbe approfittato, continuando a
mangiare alla corte del nuovo Re ed a mungere la vacca reale.
Così, come aveva fatto con quelli passati…
E’ solo una favola. O forse no!
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