C’era una volta – o forse c’è ancora - quel re…
Che si chiamava Piffero e che un giorno, durante
una festa, si presentò nella locanda del paese di Onassas. Non era solo, con
lui vi era la Piffera regina ed il solito corteo di cortigiani ed immancabili
ruffiani.
Re Piffero, ammantato nel suo egocentrismo
protagonista, immaginava che la folla, al suo passaggio, si sarebbe aperta
dividendosi in due, lasciando scorrere il corteo. Ma non fu così. La plebe,
irriverente, continuò a saltare, bere e ballare senza curarsene. Quel re
cominciava a passare inosservato e qualche ragazzino in giro per le strade
cominciava già a dedicargli qualche pernacchio.
La giornata non era ancora cominciata.
Altre disavventure avrebbero accompagnato la visita
del piffero alla piazza in festa.
E si, perché era un giorno speciale per il paese. Si celebrava, come ogni anno, il giorno del
“Padrone” e tutti i servitori avevano ottenuto il loro giorno di libertà per
festeggiare ed assaggiare le pietanze servite per le strade.
Loro no, per il fetore e l’ingombro, era
meglio farli rimanere fuori.
Anche i luoghi di ristoro e le locande erano piene di gente ma, in
una in particolare, a quel tempo il Piffero poteva ancora entrare mentre a
rimanere fuori erano solo i cani, gli asini e le capre.
Il Piffero, però, quella sera era accompagnato
anche dalla Piffera. E la Piffera, si sa, vuole anche lei sentirsi la migliore.
L’unica, quella più gratificata dagli inchini e complimenti dei cortigiani. E
quando tendeva la mano per stringerla la lasciava cadere, quasi come morta, e non
stringeva mai quella che gli si porgeva.
E’ la moglie del Piffero. Hai visto mai che le si
possa mancare di rispetto e non prostrarsi al suo passaggio?
Ed infatti fu lei a precederlo nella locanda per
decidere cosa ordinare da mangiare.
La Piffera pretese di essere servita con attenzione
ed esclusiva e precedere quanti erano in attesa prima di lei.
Ed allora, il locandiere, conoscendo le debolezze
della Piffera, si permise di ordinare alla servitù che solo lui poteva servire al
tavolo reale e che avrebbe fatto in modo che il servizio sarebbe stato il
migliore che poteva ricevere in tutto il paese.
Ma, all’improvviso, mentre ancora il locandiere era
intento a preparare da bere, la Piffera si arrabbiò. Il locandiere non capì il
perché. Rimanendo interdetto.
Una parola di troppo? Un suddito sboccato? L’odore
del sudore dei piedi della gente? Dei rutti strarnuti o quant’altro all’aria
libera? Bah? Vaglielo a domandare alla Piffera.
Anche gli altri clienti rimasero interdetti per il
repentino cambiamento di umore.
Piffera corse immediatamente fuori dalla locanda a
chiamare il Piffero, e tutti i cortigiani, invocando che vendicassero la vile
offesa ricevuta dall’oste che, in realtà, ancora non capiva in cosa avesse
sbagliato. Piffero entrò nella locanda e senza chiedere spiegazioni cominciò
ad imprecare nei confronti del
locandiere e degli altri servitori presenti, intercalando insulti con qualche si,si
eh, eh…
-
Come osate
voi, vile plebe si,si ignorante e volgare, eh, eh offendere la mia amata!
Alludere nei suoi confronti! Eh, eh…!!! Mancare di rispetto al Piffero eeh la
sua corte. E tu? Locandiere della
malora, eh, eh…!!! Come ti permetti di lasciare la disponibilità della locanda
anche ad altri e eh, eh…!!! Non cacciarli al nostro ingresso riservandoci il
locale? Eh, eh…Perché hai osato rivolgerti alla Piffera senza nessun
riguardo?
Ma
il locandiere che ancora non capiva le ragioni di quegli insulti ebbe un moto
di ribellione.
Un
sussulto di orgoglio mascolino che gli fece impugnare il coraggio con mani e
piedi…
Tirato
via uno straccio che portava legato sui fianchi cominciò a rotolarlo per aria e
gridò : iooo, volevooo solo rendere
omaggio al rango della “Piffera” con il rispetto dovutooo! Ma, lei, non mi ha
dato rettaaa né il tempo! Ed è uscita
senza dare spiegazioni…
Ma, Re Piffero, non volle ascoltare ragioni. Continuò
ad imprecare in direzione del locandiere e della sua famiglia.
Lo insultò ed insultò, con lui, tutti i suoi
clienti.
E fu così che, il locandiere, perse la pazienza ed
allora continuò a far ruotare lo straccio per aria. Sempre più forte, più
forte, come se volesse scacciare un nugolo di mosconi.
E gridò : fuoriii!
Fuoriii dalla mia locanda! Che Piffero e Piffera non si facciano più vedereee!!!
Lui comanda nel suo palazzo, ma nella mia locanda comando iooo! E, piedi
coraggiosi scalciarono il Piffero fuori dalla locanda.
Piffero sorpreso dall’inaspettato moto di orgoglio
non seppe come rispondere. A testa bassa e naso curvo, accompagnato dalla
petulante Piffera e qualche cortigiano che tentava di consolarlo, fece
mestamente ritorno a palazzo.
Si cominciò a rendere conto che l’umore dei sudditi
nei suoi confronti stava cambiando.
Non era più considerato la soluzione ma, adesso, la
causa dei guai. Un re non può essere trattato così dal popolo. A meno che non sia
un re fanfarone, saltimbanco, ciarliero e chiacchierone a cui non resta altro
che raccontar storielle al popolo per continuare a prenderlo in giro. Un re a
cui nessuno darebbe un piffero di credito… Tranne che qualche familiare, cortigiana
ben sistemata anche grazie ad Avvelenavipere, o “amico” del cuore…
Da quel giorno nella locanda del paese di Onassas
al Piffero non fu più permesso entrare.
Sull’ingresso campeggiò ben visibile una scritta : “vietato
l’ingresso a PIFFERO e PIFFERA ma non ai cani, asini e capre”.
Così, quando non c’erano clienti, il locandiere
preferì la compagnia degli animali piuttosto che quella di Piffero e signora… E,
quella volta, il sospiro della Piffera, non riuscì a far esaudire i suoi desideri…
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