mercoledì 17 aprile 2013

“RE PIFFERO fortunellum alla guerra della piffera ”…



C’era una volta – o forse c’è ancora - quel Re…  Che, stanco della noiosa quotidianità di un reame piccolo e insignificante, provò a cambiare il corso della storia...E dichiarò una guerra.
Quella di Troia, al confronto, era stata solo un pic-nic festivo. Infatti, da allora, ai bambini che avevano la sfortuna di nascere nel "regno del Piffero" si fece studiare, negli abbecedari,  la “guerra della piffera”.
Un intero capitolo le fu riservato.
Un giorno, il re ciarlatano, annunciò direttamente dal balcone del palazzo reale, alla sua corte dei miracoli, le sue bellicose bramosie. Non si affidò, però, al volere di tutti gli dei, ne agli umori di Minerva ma, solo, alle bizze di “Venere” al cui altare, ogni sera, era costretto a prostrarsi. Pensò anche a “cavalli di Troia” e tattiche intelligenti per sconfiggere i nemici.
Lui stesso, in un bizzarro e grigio mattino, urlò il desiderio di punire gli irriducibili avversari e le spie che avevano portato fuori dal palazzo, e raccontato, i suoi inconfessabili segreti. Quelli che fecero conoscere al mondo intero l’alterco reale con il consiglier Consolatio Capatesa. 
Una contesa “condita” da urla ed invettive. Mai un “unto” regio era stato sul punto di venire, quasi, sopraffatto da un suddito suo servitore, sino ad allora fedele.
Le urla si erano levate così forti da raggiungere i paesi vicini. Le udirono le lavandaie ma anche i barbieri e gli acquaioli, a cui non si chiedeva più “come era l’acqua” ma : “cosa succede al Piffero? ”. Tutti ne parlarono.
Piffero, non avrebbe avuto pace fino a che i suoi nemici non fossero stati puniti. Tutti, nessuno escluso. A cominciare dai traditori all’interno del palazzo.  
Decretò la fine della sua “magnanimità”. Le spie furono incaricate di sbirciare dai “buchi delle serrature”. Potevano essere dappertutto, a osservare ed origliare. Non fu più possibile fidarsi di nessuno.
Persino il bardo, che sino ad allora veniva “tollerato”, venne minacciato, offeso, perseguitato … Tra i suoi presunti amici fu infiltrato un giuda – a cui fu promessa la santità - con il compito di farlo tradire.
Re Piffero non voleva più che tutto ciò che si raccontava non fosse stato approvato, prima ancora che da lui, dalla stessa Piffera intristita.
Fu così che, per farle ritornare il sorriso smarrito, decise di fare un discorso al fidato esercito di servitori, schierato a difesa del suo “onore” offeso e deriso. Non prima di aver liberato i suoi piccioni viaggiatori che si appollaiarono sul davanzale dei nemici per comunicare le focose intenzioni.
In attesa di avventurarsi nella violenta battaglia, salì sul balcone reale e decise di “arrizzare” la esigua moltitudine, ancora disposta ad ascoltare le sue parole pronunciate, come d’abitudine, con lingua biforcuta.
Lui pensò : “se io racconto una storiella questi crederanno alle parole che io scoreggerò. Se smentirò di voler organizzare la Fiera dei Becchi e di essere un devoto di San Martino, testimoniando la mia fedeltà solo a San Culamo, essi non avranno dubbi. Ho ancora l’età per cambiare i santi a cui essere devoto. Se io urlerò che nulla è come è realmente avvenuto, ma tutto si presenta solo come io voglio che appaia, essi si fideranno ciecamente delle mie parole. E, se mi impegnerò a non rinascere cervo a primavera, i loro dubbi saranno definitivamente superati”.
E queste furono le parole che pronunciò.
Il suo storico discorso agli onassassini ebbe così tanto successo da venir recepito persino nei regni confinanti e non mancarono offerte di aiuto al valoroso condottiero. Persino Titella El Henà, principessa del regno di “Mille e più Tresche”, spese parole di incoraggiamento che toccarono il cuore e l’intestino crasso del regnante.
Confortato dal ritrovato affetto della Piffera, dalla fiducia della sua corte e dalle parole di Titella, Piffero concluse convinto la sua arringa, con a fianco il soddisfatto sorriso di Consolatio Capatesa, della cui “rassicurante” presenza, nelle apparizioni pubbliche, non riuscì più a fare a meno.
Unse la fronte dei fidati, indossò, per meglio infondere paura ai nemici, l’elmo cornuto le cui punte erano visibili in lontananza, e si avviò verso l’incerto futuro, imboscato dietro ai resti dell’esercito che fu.
Del suo discorso al popolo dubbioso, alla fine, rimase una sola certezza: quelli che sembravano spifferi di brezza primaverile si trasformarono in rumorose tormente.  
Lui non riuscì a convincere nessuno che non solo “Cesare, ma anche la moglie di Cesare, era al di sopra di ogni sospetto”. Anzi, anche chi non era attento alle vicende del regno di Onassas, alle miserie e meschine avventure dei suoi cortigiani, se non sapeva, suo malgrado, ne fu informato…

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